Koji Alchemy

La magia della fermentazione



Il prezzo originale era: 39,00 €.Il prezzo attuale è: 37,05 €.

Autore: ISBN: 9788867731091 Categorie: , Pagine: 310

Pubblicazione:

Il koji è una muffa dagli eccezionali poteri trasformativi. Si tratta dell’Aspergillus oryzae, che quando si sviluppa su cereali o altri substrati, produce un vero e proprio tesoro di enzimi, consistenze e sapori.
Koji Alchemy racconta i processi e le tecniche per fermentare il cibo con il koji, quel microrganismo che da migliaia di anni viene utilizzato nella cucina asiatica per ottenere i tipici sapori umami, ormai conosciuti e ricercati in tutto il mondo. Con il koji vengono prodotti salsa di soia, miso, amazake, sake, ma non solo.
La magia del koji, come dimostra questo libro, può andare oltre, perché può essere utilizzato anche per ottenere stagionature rapide di salumi e formaggi, anche vegetali, e per la preparazione di tanti altri alimenti, rivoluzionando la creazione dei cibi fermentati e dei loro profili aromatici.
Gli autori e pluripremiati chef Rich Shih e Jeremy Umansky, riconosciuti come i più grandi esperti di questo ingrediente, ci guidano sull’utilizzo moderno del koji. Con il loro lavoro hanno ispirato moltissimi appassionati e professionisti della fermentazione.

 

Prefazione di Martino Beria

Trasformare la materia, partire dal ferro per ottenere l’oro, prendere un materiale e aggiungervi valore, elevare la base di partenza per arrivare a qualcosa di più soddisfacente, di impressionante, di risolutivo è sempre stata un’attività particolarmente attrattiva per l’uomo. L’umanità si è evoluta trasformando le cose, l’alchimia è l’emblema delle arti trasformative umane. Il desiderio e la capacità di trasformare la materia non sempre nascevano per ragioni futili come la brama di ricchezza, ma per gran parte della storia evolutiva dell’uomo, queste trasformazioni nascevano per necessità impellenti, come sopravvivere alla fame.
Nel momento in cui l’uomo è apparso sulla faccia della terra ha probabilmente sentito lo stomaco contorcersi, e ha dovuto iniziare da subito a provvedere a questo bisogno incessante che muove tutto il mondo: la fame genera movimento! Questa spia che si accende, non solo a livello viscerale ma anche cerebrale, indica che il nostro motore interiore necessita di carburante. Ma se il carburante dovesse scarseggiare, oppure se dovessimo averne troppo e dovesse marcire, o se ci accorgessimo di averne avuto sotto il naso in abbondanza, ma in una forma non accessibile? Mentre stiamo assaporando un boccone delizioso del nostro cibo preferito, la sola idea che si presenti la possibilità di restarne senza, ci mette in allarme e ci spinge ad agire per prevenire il presentarsi del problema.
La storia dell’alimentazione è colorata dalla fame, perennemente influenzata da questa necessità di “problem solving”, che ha messo in moto le migliori capacità cerebrali umane, dando luogo a quelle che oggi chiamiamo eccellenze gastronomiche.
Questa è l’essenza dell’arte della conservazione, che affonda le sue radici nelle tecniche fermentative, di essiccazione, di affumicatura, spesso così ben orchestrate tra loro, da dare prodotti durevoli, in ambiente non refrigerato. La condizione umana prima dell’avvento del frigorifero era, infatti, ben differente da quella alla quale siamo abituati oggi.
Questi armadi magici e freddi sono pronti a contenere tutta l’abbondanza di cui disponiamo, togliendoci gran parte della preoccupazione: non dobbiamo occuparci preventivamente di consumare tutto ciò che abbiamo per evitare che possa deteriorarsi.
Sembra paradossale ma è proprio nella marcescenza, quel processo naturale di ritorno alla terra della materia vivente, che si racchiude la possibilità di rendere durevoli i prodotti. Sfruttando quegli stessi principi microbiologici che scompongono la materia rendendola fertilizzante per la terra, e dirigendoli secondo le nostre esigenze, l’umanità ha dato vita alla fermentazione guidata. In realtà questa è sempre esistita, ed è proprio il picco iniziale di trasformazione della materia in materiale scomposto, che diventerà in breve decomposto, a meno che qualcuno non inizi a dirigere gli attori e farli recitare secondo un copione che non va più in favore della natura, ma della fame.
La cottura è sempre stata intesa dagli antropologi come il primo segno di opposizione umana alla “natura”, che ha dato luogo alla “cultura”. La cottura, trasforma gli alimenti, rendendoli privi di vita, stabilizzandoli temporaneamente grazie all’applicazione di un calore esterno, che denatura le proteine sia interne al cibo, sia dei microrganismi che lo albergano.
La fermentazione invece, dice Michael Pollan, è un calore freddo, capace di trasformare, “cuocere” il cibo, cambiarne la texture, aggiungervi aromi e potere nutrizionale.
È stato l’intuito geniale umano, e la capacità di osservare sul cibo fenomeni casuali, come la formazione di bollicine, l’insorgere di sapori pungenti o acidi, il presentarsi di muffe sulla superficie, ad aver permesso la scoperta della fermentazione, donando all’uomo un elemento di comfort di grandissimo valore, che tutt’oggi sfruttiamo quotidianamente in centinaia di processi produttivi, più o meno noti: siamo figli della “cultura” della fermentazione.
Entrare nel mondo della fermentazione ha avuto un effetto esplosivo nella mia mente creativa: ancora ricordo quando, da ragazzo, ho iniziato a fermentare i primi barili di birra. Da allora il mio lavoro è stato quello di collegare i punti: cominciavo a comprendere cosa ribolliva nella cantina di mia nonna, nel tino di legno sotto gli stracci e le pietre. Erano crauti! La mia famiglia è per metà slovena, e per noi gli alimenti fermentati come kislo zelje (crauti acidi) o la repa (rape fermentate) sono quotidianità. Ma dal mangiarli nelle minestre della nonna, a capirne i perché microbiologici e antropologici, mi ci sono voluti quasi trenta anni.
Mia nonna continua a dire che se non sai fare i crauti, non sopravvivi, e che questo insegnamento se lo tramandano in famiglia da cinquecento anni! Non so quanta consapevolezza ci sia in questa affermazione, ma rende l’idea di quanto importante fosse in passato la fermentazione.
Negli ultimi dieci anni lo studio della fermentazione è stato per me un lavoro quasi quotidiano che mi ha condotto a risultati fenomenali, appassionanti ed emozionanti: la mia concezione della panificazione ne è una diretta conseguenza.
Una parte della fermentazione mi era però completamente sconosciuta, forse più individuabile come un’area geografica: l’oriente, con le sue “stramberie” a base di koji.
Ma cos’è il koji? Ogni volta che me lo chiedevo mi mancava il tempo per approfondire, il cervello scartava la domanda e passava a qualcos’altro.
Non che l’utilizzo di muffe in fermentazione mi fosse sconosciuto: la produzione di formaggi a crosta fiorita e di affettati insaccati vegetali mi ha portato a sperimentare con vari ceppi di muffe, ma la salsa di soia rimaneva ancora un condimento di uso quotidiano che acquistavo al supermercato.
Vi starete chiedendo cosa ci azzecca un liquido marrone scuro come la salsa di soia con la muffa. E proprio qui sta la magia! Due prodotti dalle forme così distanti sono invece direttamente correlati.
Il koji, infatti, questa muffa bellissima, permette di degradare la materia prima che viene poi fatta fermentare in salamoia: come prendere un salame e metterlo in acqua e sale e attendere che si scomponga, dando luogo a una salsa piena di umami. Folle e geniale al contempo!
Appena ho avuto modo di leggere il libro che state tenendo in mano, ho trovato ciò che mi serviva: gli autori parlano la mia stessa lingua, la lingua del “perché delle cose”.
Koji Alchemy è infatti un “apri-mente”, un libro che non vuole essere un manuale, ma che vi farà viaggiare nelle tecniche di fermentazione tradizionali dell’Asia. Vi porterà a comprenderne i principi di funzionamento senza mai scadere nel dogma del semplice ricettario.
Gli autori hanno, infatti, come scopo quello di dare al lettore la consapevolezza analitica che porti alla capacità di astrazione: ma se invece di usare soia e grano, usassi pane e popcorn per fare uno shoyu?
Grazie al principio di astrazione sono arrivato ad alcune delle mie eccellenze gastronomiche come il Bert (una forma vegetale in stile Camembert) e le Charcutier (un affettato vegetale, marinato, insaccato, fermentato e stagionato). Il principio di astrazione non sarebbe nulla senza una base di partenza, senza una tradizione gastronomica da analizzare. Solo grazie allo studio approfondito della caseificazione e della charcuterie, ho compreso che sarebbe stato possibile trattare la materia vegetale allo stesso modo (o quasi), per ottenere dei prodotti di eccellenza.
Ed è così che Jeremy e Rich ci guidano in un viaggio che esplora la tradizione per arrivare all’innovazione, mostrandoci i loro esperimenti che vedono l’applicazione del potere trasformativo del koji anche su substrati poco consueti, come i prodotti di origine animale.
Il lavoro dell’innovatore è quello di astrarre e trasporre, da un substrato a un altro, scoprendo le magie che possono nascere su nuove basi, anche quelle oggi più sostenibili: io sto già sperimentando le loro tecniche sui miei affettati vegetali e ne sono entusiasta.
Questa è l’essenza di #KojiBuildsCommunity, diffondere la conoscenza per creare cultura e innovazione. Gli autori sono stati maestri del “far rete”, inserendo nel libro il contributo di tante menti geniali della gastronomia contemporanea, ognuna a riportare la propria esperienza con il koji, nella sua personalissima sfumatura.
Koji Alchemy è un’opera conturbante. Già solo leggendolo inizierete a visualizzare tutte le sperimentazioni che potrete mettere in atto, vi stregherà con la descrizione di aromi avvolgenti e deliziosi e, cosa più importante, vi lascerà un bagaglio di conoscenze che potrete spendere direttamente nella pratica. E in men che non si dica vi troverete scaffali pieni di vasi, vasetti e vasoni di salse e paste amminiche.
Curare l’edizione italiana di questo libro è stato un piacere e un onore, e spero possa farvi viaggiare e appassionare, come è accaduto a me.
Buon viaggio nel mondo del koji e delle sue infinite possibilità!

 

 

 

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