di Deborah Pavanello

Per molte persone essere sani significa eliminare o almeno ridurre i sintomi dei malesseri di cui soffrono. È la conseguenza di una forma mentis di tipo meccanicistico, secondo la quale è coerente, se la macchina si rompe, intervenire per aggiustarla nel modo più veloce possibile. Un punto di vista differente viene offerto dal superamento dei concetti “star bene” o “star male”, per considerare il proprio stato come parte di un processo in continua trasformazione, tipico del normale svolgersi dell’esistenza e semmai prendere i sintomi come occasioni per riflettere sulla propria situazione. Inoltre, invece di focalizzarsi solo sugli aspetti più evidenti, negativi e limitanti, andrebbe data importanza ai punti di forza, alle qualità, alle strategie adattative di cui la persona dispone e che le permettono non solo di accogliere la situazione contingente, ma anche di trasformarla in un’opportunità di miglioramento e ben-essere. È proprio quello che si intende fare quando si utilizzano i fitoderivati in naturopatia. Liberati dal concetto (tipico di altri ambiti che si servono di questi rimedi) che un unico principio attivo, cioè un’unica molecola, sia il responsabile dell’attività salutistica di una pianta, ci si rivolge all’intero pool di molecole attive presenti in un tessuto vegetale (il fitocomplesso). Lo scopo è di supportare quelle funzioni organiche capaci di indurre un nuovo equilibrio vitale nell’organismo umano con ricadute che non riguardano solo il corpo, ma più spesso anche le emozioni e le funzioni psichiche.

Per fare un esempio possiamo citare una pianta assai conosciuta e apprezzata, il Ginkgo biloba e i ginkgolidi in esso contenuti. Queste molecole fanno della pianta un’ottima fluidificante del sangue e un rimedio preventivo di ictus e fenomeni trombotici. Tuttavia, sarebbe riduttivo considerare Ginkgo solo come fonte di questo gruppo di molecole attive, per quanto utili ed efficaci. Vale la pena ricordare che siamo di fronte a un individuo vegetale che esiste sul pianeta da milioni di anni, definito dallo stesso Darwin un “fossile vivente”. Si tratta di un albero che, date le sue numerose proprietà benefiche, già più di 3000 anni fa godeva di un credito tale da essere definito un “rimedio di lunga vita” e utilizzato per abbellire i templi più sacri dell’antica Cina. Non è possibile spiegare un tale apprezzamento osservando l’attività di un unico gruppo di molecole, non è sufficiente. Se invece prendiamo in visione la complessità fitochimica di Ginkgo, risultato dell’interazione sinergica di numerosissimi principi attivi, l’azione salutistica che ne emerge è molto più articolata e complessa, degna di un albero tenuto in così gran conto. Oltre a essere un antiaggregante piastrinico, Ginkgo mostra così le sue altre peculiarità: è un protettivo vascolare, un antiossidante tra i più potenti, un antinfiammatorio efficace e infine un rimedio capace di supportare e migliorare la memoria e le facoltà cognitive.

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